I DUE STALLONI DELLA CASA DI ULISSE – Prima Parte
La “Casa di Ulisse” è la casa di provenienza di mia madre in un paese della Bassa lombarda tra Brescia e Cremona. La casa di mio padre non l’ho mai frequentata, avendomi lui riconosciuto nel 1976 solo in punto di morte. Sul letto, oramai moribondo, io ammesso alle visite dalla sua famiglia, dalla sua non certo attraente moglie, voleva ancora baciarmi sulla bocca e nella bocca, come aveva fatto altre volte durante la sua malattia, facendomi il giuoco della lingua e della saliva che io avevo fatto da ragazzo sul triangolo pubico di mia madre, in mezzo ai suoi peli neri, alle sue stupende cosce, sulla vagina, nelle mie visite notturne prima di arrivare a possederla. Quando me lo fece per la prima volta capii subito: mia madre glielo aveva confidato nei loro colloqui segreti. Da parte di mia madre la presi come un tradimento. Ma perché?, era stata al gioco, mi aveva sollecitato apertamente a fare sesso con lei fin da quando ero un ragazzino di 14 anni. C’erano stati anni di sesso, notti d’amore, due gravidanze, perché rivelare al diretto interessato il nostro tradimento? Ma chi erano in realtà i miei genitori? Due viziosi, due malati di perversione? Con mio padre poteva anche essere, ma mia madre…così bella, così unica, affettuosa, così morbosamente attaccata a me e al mio corpo. Anche mia madre era dunque una perversa, conclusi; non era ammalata di sesso, ma certo era sorniona, abbastanza lasciva, piuttosto dissoluta e falsa; aveva qualcosa della gatta, ma mi voleva bene e fece di tutto per farmi studiare.
Uno dei due stalloni sono io, l’altro era il fratello di mia madre, morto precocemente; giovane bellissimo, alto, ben fatto e super dotato sessualmente: Dalle fotografie si nota una straordinaria somiglianza tra di noi (guai a dirlo a sua madre, mia nonna!), mentre invece di mio padre non avevo assolutamente nulla(così si malignava); un padre sempre freddo e, mi sembrava, ostile. Questioni di parentela questa imbarazzante somiglianza, in conclusione. Oltre a mia madre, altrettanto bella, c’era la sorella, Livia. Questa era rispetto a mia madre di un fisico prorompente, potrei dire una specie di Sophia Loren, però io successivamente realizzai che mia madre era ben più attraente, per il volto e l’incarnato incomparabile, non più incontrato nella mia lunga vita di libertino. Io, bambino di sei/sette anni ero pazzamente innamorato di mia zia, ragazza di 16/17 anni, la “zietta”, e gelosissimo, tanto che in famiglia mi chiamavano Otello. A mia madre non mi avvicinavo, allora aveva 27/28 anni, tutto preso da questa passione; comunque, io in quanto figlio di un “meridionale” e con il vizio del frugamento nel seno, venivo tenuto lontano dal lettone dove dormivano le due donne, con una mia cuginetta, orfana, mia coetanea; da grande mia amante e resa madre due volte di un figlio abortito e di una figlia vivente, chissà dove. Probabilmente un altro stallone era il nonno materno, morto sulla cinquantina, vero combinaguai. Da quello che ho potuto capire, un perverso nel senso peggiore, che doveva avere abusato di mia madre, stando ai ricordi di lei, che non era generosa nei confronti del padre, tant’è vero che ne mandò dispersa la tomba. C’è in casa una vecchia fotografia di gruppo purtroppo molto eloquente; il nonno tiene la figlia stretta a sé cingendole la vita con una espressione evidentemente passionale, e mamma, più che bella, con gli occhi verso il basso che sembra una povera donzella tra le sgrinfie dell’orco. Mio zio era militare, veniva in licenza e aveva intensi rapporti incestuosi con le due sorelle, approfittando in una occasione del ricovero in ospedale di mia nonna per una brutta frattura a una gamba. Ma probabilmente mia nonna sapeva e tollerava; tra l’Emilia e la Lombardia, si sa, il sesso è libero; basta non intralci il lavoro. Molte brave e serissime lavoratrici, magari separate o divorziate, la mattina vanno al lavoro dopo aver trascorso una notte d’amore con il fratello o il figlio sedicenne. Quante segretarie in trasferta per lavoro ne approfittano per godersi in tutta libertà i gagliardi attributi virili di un paio di colleghi! L’età va in genere tra i 30 e i 45 anni.
Ne ho viste di belle nei tanti alberghi da me frequentati, abbastanza sconcertato osservando questi terzetti, con la donna che, a occhi bassi, raggiunge a colazione i suoi uomini della notte sotto lo sguardo complice e malizioso delle cameriere: “caffè, latte o thè?”. Mio zio sotto le armi doveva avere imparato l’uso dei profilattici, circostanza che dedussi da un racconto di una nostra cugina, ninfoma conosciuta come tale, che, tra l’altro mi cercava forsennatamente quando andavo a Cremona. Lei non mi piaceva per questa brutta fama e non se ne fece mai niente. Si confidava con le donne della mia famiglia, angosciata dal suo vizio; era arrivata un giorno a farsi sbattere da uno sconosciuto nei gabinetti di una stazione! Peggio di una celeberrima cantante americana del passato. E poi non aveva petto, era piallata, come sperimentai da bambino in un lettone una sera; e lei allora aveva 14 anni. Mia zia mi cacciava dal letto quando io allungavo le mani sulle sue belle poppe; poi da grande, nel 1960, nella sua casa in montagna, vidi il resto.
Da piccolo mia madre non mi interessava; chiamavo anche lei “zia” perché non si doveva sapere che lei aveva un figlio, da un uomo sposato e meridionale. Il corpo di mia madre, scoprii dopo, era più armonioso, più delicato, e il viso poi… Questa mia zietta venne a stare da noi a Roma qualche giorno nella camera che occupavamo, in subaffitto, con un bel letto matrimoniale all’antica. Io avevo quindici anni. Poiché nel letto a tre avevo manifestato il mio ardore per quella che ormai era veramente mia madre, dopo che mi ero addormentato si mise a parlare con lei della mia eccessiva sensualità…e pericolosità, svegliandomi però, perché essendo completamente sorda, aveva un tono di voce altissimo. Era sorda si diceva per una pleurite a 17 anni mal curata. Mio padre non c’era perché stava con la sua famiglia, con una moglie, mediocre, sposata per forza, e tre figli maschi che odiavano me e mia madre.
La mia “zietta”, era estate e faceva caldo, indossava spesso, me presente, soltanto la sua pelle e ai rimproveri di mia madre (che a nudità non le era da meno) rispondeva che potevo benissimo voltarmi dall’altra parte. Il suo era un gioco perverso, sadico, per farsi desiderare; questa donna fu sempre per me un enigma. Eppure siamo stati lì una sera dopo una decina d’anni di finire a letto, ma da soli. Si metteva in contemplazione del suo corpo davanti allo specchio della toilette; mi giravo, senza malizia, verso di lei e mi trovavo a un metro di distanza il suo fondoschiena del quale era giustamente molto fiera nel 1960 in montagna, assente il marito, ci fu un approccio molto promettente nel pomeriggio, ma non arrivammo all’amplesso per un caso veramente imprevedibile, e sfortunato: in tarda serata la bambina stette improvvisamente male per un attacco di varicella. Con le donne certi recuperi spessissimo sono impossibili, ogni lasciata è persa e l’occasione non si presentò più. Veramente io ero malintenzionato; pensavo di avere con lei una relazione e avevo architettato, veramente da perverso stavolta, di appropriarmene, di toglierla al marito. Un colpo da parte di un bastardo figlio di un meridionale. Volevo farle fare un figlio. Comunque quel pomeriggio in montagna le vidi la vagina con il danno di cui sapevo da uno dei colloqui intimi che avevo con mamma. Il fratello-stallone da ragazzo, per una idea pazza e sadica che gli era venuta, le aveva infilato in mezzo alle gambe, lei bambina, l’attizzatoio di ferro del focolare lasciandole una piaga , si capisce, dolorosissima che inoltre le danneggiò “esteticamente” l’apparato di femmina. Si in effetti era così mentre sul divano avevo preso a farle sentire la mia lingua tra le cosce. Le donne prima di prenderle bisogna conoscerle interamente, centimetro su centimetro. Quanti problemi con la ghiandola di Bertolino di mia moglie. Quando mia madre seppe di questa sgradevole faccenda esclamò indignata: “con me di questi problemi non ne hai mai avuti!”. Io le volevo rispondere, ma non lo feci,”perché quella bella cosa non me l’hai fatta provare quando avevi 36 anni e io ne avevo 14?”.
A Roma, mentre dunque era ospite nostra la “zietta”, una sera nel lettone vidi per la prima volta quanto erano belle le cosce di mia madre in sottoveste, così esposte a ginocchia piegate verso l’alto. Si era messa in mezzo per evitare contatti carnali tra me e quella scostumata della sorella, che però aveva mostrato di scandalizzarsi per il fatto che io prima mi ero gustato mia madre mettendole il viso tra le poppe, a quindici anni! Avevo poi, nella posizione che prima ho descritto, allungato una mano proprio in mezzo alle cosce di mia madre, toccandole anche le mutandine, gesto ardito mai fatto. Mia madre rivolta alla sorella tirò fuori quasi un gemito, facendo la paralizzata, però ridendo. “Livia guarda dove ha messo la mano!” esclamò. La intesi come una provocazione; le saltai sopra e tentai di strapparle le mutandine, celeste pallido; lei, però sempre ridendo, in cremonese si mise a invocare “Signur, Signur/Signore, Signore”, ma non facendo niente per liberarsi, difendendo solo le mutandine che io non ebbi il coraggio di strappare. Non posso dimenticare ,l’ho ancora nelle orecchie, quello che disse mia zia a mia madre: “me ne devo andare?”. Mamma però la trattenne: “figurati è un ragazzo (voleva dire “è una ragazzata”), mio figlio” Si fece silenzio; non scesi dal corpo tanto desiderato, le cercai il seno, la strinsi forte alla vita, ed ebbi l’orgasmo. Cercai il fazzoletto sotto il cuscino, me lo misi negli slip per fermare lo sperma e mi addormentai. Da quella sera mi considerai autorizzato a infilarle la mano fra le cosce, di metterci anche il viso, di baciargliele e di notte di fargli il classico infracosce da dietro. Durante la notte, come ho detto, mi svegliò la loro conversazione. Mia zia diceva che io ero troppo sensuale, pericoloso; avvertiva mia madre. Diceva che ero tale e quale al fratello al quale non poteva mai dire di no; disse proprio: “mi è sembrato di vedere il Roby, tale e quale”. Solo che cominciavo troppo presto, come del resto, considerava, succede al Sud. Veramente mio padre non era proprio un meridionale “sudista” perché era della provincia di Lucca, semmai era un “quasi” settentrionale. Le suggeriva di farmi dormire da solo, magari su una brandina. Mia madre però nicchiava, e io so perché; non poteva rinunciare al contatto con il mio corpo; mi amava e mi desiderava; mi stava vicina, troppo, anche se temeva la gravidanza. Il suo uomo aveva oramai più di 50 anni e io avevo, secondo lei, una bocca bellissima e il membro grande e ancora in crescita, ben formato e duro, durissimo, e potevo avere orgasmi ogni giorno, anche tre-quattro, anche più volte, infischiandosi delle esigenze della mia futura sposa. L’incesto con il figlio non era un impedimento, poteva forse ripagarla di quello che doveva avere subito dal padre-orco. Nelle lettere che io lessi dopo la loro morte, quello che probabilmente poteva essere mio padre le scriveva:”tu che mi hai donato la tua giovinezza”, non basta, a quei tempi di una ragazza di 19/20 anni si doveva dire: “tu che mi hai donato la tua purezza”.