La mamma di Ulisse e il “sesso” di Ulisse
Questo capitolo si potrebbe anche intitolare La mamma di Ulisse e il sesso di Ulisse. Devo spiegare. Nel nominare il mio membro è necessario che io cambi, alterni il nome dello strumento del nostro, di noi maschi, piacere. Qui intendo fare una esposizione dei vari momenti in cui mia madre, la mia mamma, ha avuto a che fare con lui. Dovessi dire, scrivere tutto ci passerei sopra la notte e potrei finire con l’essere noioso. Perché il rapporto tra il mio “sesso” e il suo, cioè la vagina o se preferite la “fica” (bella, con il pelo nerissimo, non sformata dai rapporti piuttosto numerosi che aveva avuto fino allora e fino ai 45 anni quando avemmo l’ultimo amplesso), è stato assolutamente monotono. Le modalità della penetrazione erano in assoluta prevalenza faccia a faccia, occhi negli occhi. L’amplesso era fatto dal godimento del suo bellissimo corpo; prolungato, estenuante di piacere.
I miei amici sfacciatamente mi chiedevano, un po’ per scherzo, un po’ sul serio, l’autorizzazione a pensare a lei nella masturbazione. Certo la notte, fin da quando lei capì che ero “maturo” cioè pubere, io dormivo appoggiato al suo altrettanto bello fondoschiena. D’inverno protestava se non le andavo addosso per scaldarla, evitando il “canalone” (come diceva lei; cioè il vuoto tra me e lei nel letto con il passaggio dell’aria). Allora a 14-15 anni non potevo capire: era una questione di sesso.
La segretaria del mio liceo appena diventata la mia amante (ma durò poco; con lei niente senza profilattico; litigammo, aveva 10 anni più di me; pensai poi che mi stesse tendendo una trappola) mi disse che mia madre mi aveva violentato! In effetti l’attenzione di mia madre verso il mio “sesso” dopo un paio d’anni che fui pubere fu chiara. I suoi incontri “personali” con lui sono per me ricordi indelebili. Eppure non era una donna sfrenata, una vogliosa senza vergogna. Diceva che io potevo godere del suo seno, dei suoi baci, qualche volta molto spinti, perché a me era mancato il suo affetto per tanti anni, prima della ricongiunzione. Mi doveva molti “piconi”, cioè le “coccole” in dialetto cremonese, ma io le premevo contro il membro sempre più grosso con il tempo; e poi spesso le stavo sopra o quasi sopra e immancabilmente arrivava l’orgasmo. E poi nel letto c’erano i supplementi di sesso pomeridiani se mio padre non veniva. Lei lo sentiva quando diventava duro come la pietra; mai mi avesse detto di ritirarmi. Mi ritiravo dopo l’orgasmo. E poi le sue nudità, il suo sesso peloso che vedevo e che mi faceva impazzire. In maniera sorniona aveva imparato a conoscere tutte le mie fattezze. Secondo me le mie partite di calcio lei le aspettava. Stanchissimo andavo a letto e cadevo in un sonno profondo; mi sarei svegliato solo con un secchio d’acqua in faccia oppure con una eiaculazione come capita ai ragazzi. Quelli erano i momenti, i suoi momenti per conoscermi con comodo: accendeva l’abatjour, luce bassa, mi scopriva e mi guardava dentro il pigiama che portavo aperto davanti; ma andava oltre. Quando arrivava la polluzione faceva in modo che io facessi dentro il pigiama e spegneva la luce.
Presentissima nel letto e nei sogni perché in tutta la mia vita i sogni erotici, tranne una volta (ma all’interessata non l’ho mai detto) la vedevano protagonista. Un po’ più grande gliele ho restituite le visite tirandole su la camicia da notte e abbassando il pigiama. Lo vedeva spesso il mio membro (“pene” non mi piace, “membro” l’ho imparato da una signora); lo chiamava “il tuo….”, mentre il preservativo lo chiamava “il…….”(lo metti “il……”?). A sedici/diciassette anni alla base del membro mi si erano fatte delle piccole cisti bianche, due o tre, che poi si infiammarono e scoppiarono, senza danno; solo un po’ di fastidio. Una di queste piccole cistine si era formata alla metà dell’asta. Grande poco meno di un piccolo chicco di riso, non andava via e si incistò. Divenne un affarino nero, duro. Lo sapevo solo io….e mia madre. Da fuori lo si poteva vedere solo con l’erezione uscito dal pigiama. Era vero allora, la notte mi esplorava, non certo per premure materne; c’era ben altro e quella faccenda l’aveva scoperta accendendo la luce. Aveva la fissazione dei puntini neri che cercava in continuazione sul mio viso, sulle spalle. Quando si avvicinava per fare pulizia non aveva scampo. La mano andava subito in mezzo alle cosce, risalendo fino alle mutandine, poco alla volta. Lei mi toglieva la mano e io ce la rimettevo. La notte a letto non potevo farlo perché si toglieva le mutandine e non me lo avrebbe permesso. Ma se mi svegliavo….Quindi questo cistino nero bisognava toglierlo. Dovevo, secondo lei, accendere una candela, passarci sopra un ago e fare l’operazione. Guardandola fissa in viso e sfacciatamente, ma il cuore mi batteva forte, le dissi di farmela lei l’operazione. Era una cosa molto delicata soprattutto perché risultava che lei mi aveva esplorato nel sonno e che io la sospettavo di questo e di ben altro. Rispose comunque, tutta seria:” ne parliamo con il babbo quando viene”. Ma la cosa non andò avanti; dopo qualche tempo l’affarino si infiammò e scomparve; non ne parlammo più.
A Ostia, al mare in cabina per la prima volta presi l’iniziativa di farmi vedere in erezione; mi guardò tenendo per qualche momento lo sguardo sul mio sesso; temetti una reazione, uno schiaffo. Non disse nulla e uscimmo dalla cabina. Questo mi incoraggiò; il suo silenzio mi aveva colpito. Adesso ero io che facevo le visite notturne. Le avevo fatto nella nuova casa quella specie di ricatto in merito al suo violento amplesso incestuoso con il fratello; ero andato più volte a baciarle e a leccarle la vagina; sul letto, fuori del letto, mi toglievo gli slip mostrandole il membro eretto quando lei girava per casa prima di andare a letto e veniva anche da me; giocando a carte tiravo fuori il mio “asso di bastoni” in più. Poi ci furono i rifiuti quando io le chiesi esplicitamente di stare con me nel letto. Poi cedette, come era naturale; mi ci aveva portato lei a quell’atto così importante, c’era di mezzo la sua e la mia vita. Anche se ero suo figlio nel 1957 ero un giovane uomo la cui sessualità lei stessa aveva acceso pensando in cuor suo di poterne godere. Dopo che mia cugina con il bambino in braccio se ne fu andata, eravamo alla metà circa di giugno, lo ricordo bene perché faceva giorno presto e il pomeriggio si confondeva con la notte, cenammo in pochi minuti e ci preparammo per la nostra prima vera battaglia di Venere (l’altra era quasi dimenticata perché la penetrazione era stata da dietro, pochi minuti, e non c ‘era stato altro). Quella notte a dominare il campo furono le cosce di mia madre; con il viso ci stetti sopra per delle ore. Lei mi diede una infinità di baci e io la baciai a mia volta con un sentimento tenero di gratitudine. Non avevo ancora 19 anni.
Dopo qualche settimana, intorno a Ferragosto, dopo pranzo andammo a prendere il fresco in un giardino pubblico. Io però non stavo bene, non avevo digerito la pastasciutta. Tornammo a casa; mi fece una limonata. Da quello che ho saputo non molto tempo fa il limone sarebbe un discreto afrodisiaco; questa potrebbe essere una spiegazione per quanto accadde dopo. Rimasi in pantaloni e canottiera. Un po’ alla volta il giramento di testa mi passò. Andai in camera da letto dove mamma era andata a coricarsi; tirai giù le tapparelle; mi spogliai; la spogliai e volli fare sesso con lei senza il profilattico. Quasi piangendo mi prese in mano il mio sesso implorandomi di rientrare in me. Lo facemmo, mi addormentai e lo rifacemmo la notte che venne.
Ringraziamo ad ULISSE per averci mandato la sua storia!